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Archivio di Stato di Prato

Verso il boom del tessile

➢ Il nuovo trend dell'industria tessile pratese

Negli anni ‘50 l’economia tessile conobbe a Prato un’evoluzione rapidissima.
All'inizio del decennio si dovette però fare i conti con i disastri della guerra, che distrusse o danneggiò il 30% degli impianti cittadini, e con la perdita dei mercati tradizionali (India, Estremo Oriente e Sud Africa) importatori di coperte, scialli e plaids. Molte fabbriche pratesi cominciarono a smobilitare i reparti e a cedere i telai al riscatto degli stessi operai perché li sfruttassero privatamente; le più grosse, come il Fabbricone, entrarono in crisi e furono costrette a operare licenziamenti.

Per reagire a questo trend negativo, l’industria laniera pratese si indirizzò sempre più verso tessuti di medio pregio destinati a nuovi mercati, in Europa e negli Usa. Ciò produsse indici di crescita superiori a quelli registrati nel resto d’Italia, al punto che, nel 1957, le esportazioni pratesi equivalevano al 70% di quelle nazionali.
I fattori che favorirono la crescita furono:

  • il dinamismo dell’iniziativa privata;
  • l’abilità dei fabbricanti nell’impiego delle materie prime (lane e stracci, in buona parte provenienti dai mercati esteri);
  • la manodopera altamente qualificata;
  • il rinnovo frequente dei macchinari, utilizzati sapientemente al massimo grado di produttività;
  • le agevolazioni fiscali sui prodotti esportati;
  • il supporto delle banche.

Il fattore chiave fu però la peculiare organizzazione del lavoro che caratterizzava il distretto pratese, basata sulla “polverizzazione” degli impianti: con eccezione di una quarantina di complessi più o meno grandi con ciclo completo di lavorazione, le restanti imprese o ditte individuali indipendenti erano specializzate solo in fasi specifiche. A quei soggetti l’impannatore, come veniva chiamato a Prato il mercante di tessuti privo di macchinari propri, commetteva la produzione.

➢ Il cuore dell'ingranaggio: cernitori e tessitori

La ragione del successo dell'industria laniera pratese sui mercati esteri fu altresì legato all’utilizzo degli stracci come materia prima per produrre tessuti di buona qualità e di basso costo: intorno al 1955, l'85% degli stracci utilizzati dall'industria italiana passavano per la zona di Prato.
Superati i rigorosi controlli doganali, le balle erano sottoposte a operazioni di classificazione svolte da operai specializzati, i cernitori: questi erano in grado di individuare a colpo d’occhio e al primo tocco le parti riutilizzabili, separandole e classificandole per tipo di tessuto, qualità e colore.

Il grosso dell'ingranaggio poggiava poi sui numerosi tessitori proprietari di un telaio o due negli stanzoni sparsi alla periferia della città e nel suo distretto: nel periodo considerato, a Prato esistevano circa 3.000 aziende artigiane di tessitura per terzi, con oltre 4.500 telai attivi.
I tessitori terzisti ricevevano dall’impannatore il filato con l’indicazione del tipo di tessuto da realizzare e, alla fine, consegnavano le pezze tessute. Erano inquadrati come lavoratori autonomi, perché liberamente intrattenevano rapporti di lavoro con clienti diversi, e come artigiani, anche se possedevano telai meccanici. Anzi, quando nel 1953 la Camera del Lavoro di Prato propose un’equiparazione dei tessitori terzisti a lavoranti a domicilio, l’Associazione mandamentale dell’Artigianato di Prato indisse tra i suoi associati un referendum che certificò la volontà dei tessitori di essere inquadrati come lavoratori autonomi e come artigiani agli effetti dei contributi per assegni familiari, del credito artigianale, della legge sull’apprendistato, dell’assistenza sanitaria obbligatoria.
Ricevevano fra le 70 e le 80 lire per mille colpi (“colpo” = battuta che faceva la spola dopo aver percorso l’ordito della tela), da cui andavano detratti i costi per energia e trasporto: guadagni apprezzabili erano possibili a condizione di lavorare più delle 8 ore di una giornata normale (almeno 14-16).

 

➢ La lotta al contrabbando di indumenti

Negli anni ’50, l’importazione degli stracci destinati all’industria tessile italiana fu soggetta a una rigida regolamentazione, finalizzata ad arginare i numerosi casi di frode riguardanti indumenti importati dagli Usa e sdoganati come stracci (quindi sottoposti a dazi inferiori), ma poi venduti in area campana come abiti usati.
In particolare, la circolare del 1954 regolò in modo dettagliato le operazioni di scarico delle balle, imponendo un'ispezione da parte della dogana della circoscrizione in cui era compreso lo stabilimento destinatario. Le balle di stracci che giungevano alla stazione ferroviaria venivano trasferite sotto la sorveglianza dei doganieri in magazzini fiduciari chiusi con doppia chiave – una in possesso dell'importatore, l'altra dell’ufficio doganale – per l’esame degli ispettori doganali. In caso di rinvenimento di indumenti ancora utilizzabili, questi dovevano essere sdoganati con le tariffe previste per i prodotti finiti, oppure, a richiesta della ditta importatrice, ridotti in stracci per la sfilacciatura, sotto la continua sorveglianza dei funzionari doganali.
Questi controlli imponevano costi significativi agli importatori, dovuti all’equipaggiamento dei magazzini, alle forti spese del controllo degli ispettori doganali, al maggior salario da pagare alle maestranze adibite al taglio sotto sorveglianza. Ai disagi degli operatori tessili fa riferimento il telegramma del direttore dell’Associazione nazionale materie prime tessili, Tito Cesare Canovai.

➢ L'azienda Lavatura e pettinatura lane Spa

Un esempio di azienda di medie dimensioni legata a uno specifico segmento della filiera produttiva fu la Lavatura e pettinatura lane Spa., fondata nel 1948 per iniziativa di Enrico Pecci: nel 1960 vi lavoravano 183 dipendenti.
L’azienda avviò le sue attività per conto terzi nel maggio del 1948 in un impianto posto in via del Castagno, in seguito ampliato fino a ospitare nel 1960, cinque anni prima della sua chiusura, 183 dipendenti iscritti al libro paga, tra operai, assistenti e impiegati. Si occupava principalmente del lavaggio, carbonissaggio (rimozione delle impurità vegetali) e pettinatura della lana proveniente da mercati esteri, come la lana sucida (cioè appena tosata, ancora frammista a untume e altre materie estranee) dell’Australia.



Ultimo aggiornamento: 28/10/2025